Luciano Canfora: gli Antichi sono falliti di successo

GLI ANTICHI SONO FALLITI DI SUCCESSO Il filologo spiega per il Mulino perché latini e greci sono attuali, al di là della retorica sui valori Canfora: posero temi scottanti, senza cercare consolazioni di Antonio Carioti, Corriere della Sera 4 agosto 2014 Di solito, quando si pongono in appendice a un libro brani di studiosi illustri, lo scopo è invocare la loro autorità in appoggio alla tesi sostenuta dall’autore. Ma a Luciano Canfora non piace essere banale. Quindi fa il contrario: nel pamphlet Gli antichi ci riguardano (II Mulino, pagine 104, €10) offre ai lettori una breve antologia d’interventi che a suo avviso risultano inefficaci nel difendere la causa, da lui caldeggiata con vigore, del mantenimento di un ruolo rilevante per gli studi classici nel sistema scolastico italiano. Non lo convincono le argomentazioni del «fascista di sinistra» Goffredo Coppola, insigne grecista, che «scade nel generico e nel patriottardo-nazionalistico». Ma neppure approva le posizioni assunte da un personaggio a lui politicamente ben più vicino, il grande latinista Concetto Marchesi, esponente del Pci, al quale addebita «un pessimistico aristocratismo». Più in generale Canfora confuta la motivazione più consueta e retorica che viene di solito addotta a difesa degli autori greci e latini. A renderne indispensabile lo studio, si usa dire, sarebbero «i valori fondanti» contenuti nelle loro opere. Tesi che però s’infrange di fronte all’elementare constatazione che i classici dell’antichità non andavano affatto d’accordo tra loro, ma anzi propugnavano visioni del mondo nettamente antagonistiche, per cui è un proposito del tutto velleitario pensare di estrarre dal loro variegatissimo lascito indicazioni univoche. In realtà, osserva Canfora, dietro il richiamo ai principi fondamentali agisce un meccanismo di «rispecchiamento» piuttosto strumentale: «Una volta stabiliti i valori che noi riteniamo prioritari, li ritroviamo anche in una serie di autori, e così, invertendo la prospettiva, diciamo che quegli autori sono i portatori dei valori che ci formano. In realtà sono i valori che noi abbiamo deciso di porre in posizione preminente». Neppure l’idea che imparare le lingue classiche sia innanzitutto utile come esercizio faticoso, dunque formativo, soddisfa del tutto Canfora, che pure in fatto d’istruzione boccia ogni atteggiamento accomodante, ogni demagogica «rincorsa del nuovo», e afferma la necessità di una severa disciplina, basata proprio sull’apprendimento delle tanto vituperate «nozioni», come unico percorso in grado di suscitare l’indispensabile «assunzione di un abito critico» da parte dello studente. Attribuire al greco e al latino una funzione di impegnativa palestra intellettuale, pervia delle difficoltà che presenta il loro apprendimento, è perciò «una risposta che merita attenzione». Ma a Canfora non basta. A suo avviso la ragione più importante per cui è necessario continuare a confrontarsi con Tucidide e con Fiatone, con Grazio e con Euripide, con Lucrezio e con Tacito, risiede paradossalmente nel loro fallimento epocale. Nonostante gli sforzi profusi senza risparmio, essi non sono stati capaci di risolvere i problemi del loro tempo: non sono riusciti a individuare la migliore forma di governo per la convivenza umana, né tanto meno hanno trovato una soluzione allo stridente contrasto tra gli ideali universalistici, per cui tutti gli uomini dovrebbero godere di pari diritti, e le molteplici distinzioni di rango prodotte continuamente dalla storia attraverso i meccanismi escludenti della politica e dell’economia. Ebbene, aggiunge Canfora, forse che tali questioni non si ripresentano anche oggi, in termini per molti versi analoghi? In fondo, per rendersene conto, basta aprire un quotidiano o assistere a un notiziario televisivo. L’attuale crisi delle democrazie rappresentative, evidente soprattutto in Europa, non smentisce l’idea ingenua che le nostre società avessero adottato un sistema di governo ottimale, foriero di un progresso stabile e duraturo? E la retorica dei diritti umani universali, tanto in voga nel discorso pubblico contemporaneo, come si può conciliare con la persistenza di regimi tirannici e sanguinari in buona parte del pianeta, ma in fondo anche con le condizioni di sfruttamento ed emarginazione in cui troppo spesso sono costretti a vivere in Occidente gli immigrati provenienti dai Paesi poveri. Interpellare gli antichi, scrive Canfora, serve ad acquisire una migliore consapevolezza di temi giganteschi e inquietanti come questi, cui se ne possono aggiungere altri: la natura del diritto, la cause della guerra, il significato dell’utopia. Ed è tanto più utile in quanto quegli autori non si sono rifugiati nella visione consolatoria delle religioni rivelate, per cui, se questo mondo ci appare una valle di lacrime, si può tuttavia sperare in una salvezza ultraterrena. La loro ricerca è tutta laica, immanentistica: non prevede scorciatoie sovrannaturali, bensì una tragica assunzione di responsabilità. Una lezione aspra, ma terribilmente attuale. E quanto mai istruttiva.