Patrimonio culturale e centri commerciali: Fidenae

Circa due settimane fa sono riuscito finalmente a visitare il nuovo allestimento dell’area archeologica presso il centro commerciale Porta di Roma (qui la pagina ufficiale , qui un’accurata descrizione) . Da qualche anno i mosaici che prima erano visibili presso l’infopoint erano stati rimossi in attesa di una musealizzazione che ne valorizzasse storia e contesto: rispetto alla situazione precedente – dettagliatamente descritta in questo articolo e riassumibile con questa foto – l’operazione può dirsi senz’altro riuscita. Nella galleria fotografica sottostante si può vedere come i mosaici abbiano riacquistato una loro dignità rispetto a quando costituivano una sorta di panchina sulla quale riprendersi dalle fatiche dello shopping; nel nuovo spazio dedicato interamente a quanto rivenuto durante la costruzione dell’intero centro commerciale – ben indicato e ben definito nella sua identità di antiquarium – ritrovano una loro dimensionalità e una loro narrazione, accompagnati da altri reperti che illustrano il contesto di rinvenimento, una planimetria che mostra la mansio – l’edificio dal quale provengono i mosaici – una carta IGM che riporta tutte le scoperte avvenute durante i lavori e un video che a rotazione ne mostra le fotografie. A corredo, un piccolo opuscolo ben fatto, essenziale ma completo, che riporta quanto esposto e illustrato nell’antiquarium.

Ma…

Nel comunicato si legge: Lo spazio espositivo Fidenae alla Porta di Roma, con i sui preziosi reperti archeologici, rappresenta una nuova tappa di una politica culturale promossa dalla Soprintendenza Speciale di Roma: la restituzione alla città e ai cittadini del loro passato.Il progetto, nato dalla proficua collaborazione tra la Galleria Commerciale Porta di Roma, che lo ha promosso, e la società H501, che lo ha sviluppato, è finalizzato a creare un luogo di aggregazione culturale nella nostra città.

L’operazione, senza dubbio encomiabile nei suoi intenti e lodevole per la collaborazione instauratasi tra un privato e la Soprintendenza, mi ha però lasciato perplesso su alcuni punti. Innanzitutto, la comunicazione: al di là della notizia – ampiamente diffusa dalla stampa: 1, 2, 3, 4 – non si trova notizia nel sito del centro commerciale; la pagina ufficiale prima linkata è, in realtà, una pagina della sezione news. Essendo l’antiquarium una parte dell’offerta del centro commerciale, ci si aspetterebbe una sezione a sé stante, magari arricchita da video e fotografie che pure si trovano in abbondanza nelle pagine delle diverse testate giornalistiche, come Repubblica.

Nel centro commerciale, invece, le indicazioni su schermo non riportano l’area archeologica, mentre i cartelli (posti in alto) rimandano genericamente a “Mosaici”, senza dubbio l’elemento più notevole del nuovo allestimento, tuttavia non l’unico. A mio avviso, con questa indicazione un po’ si sminuisce il valore dello spazio stesso: se l’intento è quello di catturare l’attenzione del visitatore distratto o interessato solo allo shopping, irretendolo con i “pezzi forti” dell’esposizione, la scelta contrasta un po’ con la volontà di mostrare un contesto notevolissimo nella sua estensione e di grande importanza storica. I termini “Museo” o “Antiquarium” magari sono stati scartati perché ritenuti scoraggianti – senza dubbio “Mosaici” colpisce di più l’immaginazione – si sarebbe potuto optare per un più ampio “Fidenae archeologica” o simili, così da mantenere una continuità comunicativa con i banner pubblicitari del sito web, dei cartelloni e, infine, con la targa all’ingresso dello spazio espositivo. L’uniformità del brand consentirebbe anche di evitare il disorientamento che si viene a generare quando, seguendo il percorso “Mosaici”, ci si trova improvvisamente… davanti all’ingresso dei bagni, dove a destra si scorge quanto si vede nella prima foto della galleria. Non so se la vicinanza ai servizi sia un caso o meno: mi è stato fatto notare che potrebbe essere un modo ulteriore per attirare visitatori, ma a fronte di un gran numero di persone in attesa, nell’antiquarium sono entrate solo tre persone durante la mezz’ora in cui mi sono soffermato – ed ero solo insieme alla mia compagna, alla mia amica e al suo cane. Per finire, sul sito web c’è scritto di rivolgersi all’infopoint per informazioni ed altro: questo presupponendo di conoscere già l’esistenza dell’area archeologica, ma se non ne so nulla, mi sfuggono i cartelli in alto e non devo andare in bagno, non andrò mai al punto informativo, peraltro sprovvisto di un qualsiasi cartello, poster o striscione che riporti il logo dell’antiquarium, a fronte di indicazioni abbastanza evidenti di punto vendita di un noto circuito di biglietteria eventi.

L’impressione generale è che non si punti (o non si punti ancora) sul valore aggiunto che un’operazione culturale tanto meritevole comporta, nonostante i buoni propositi del comunicato ufficiale. L’impressione aumenta quando si vedono alcuni numeri legati al centro commerciale: 230.000 metri quadri di superficie (150.000 tra IKEA, Leroy Merlin e Galleria Commerciale, il resto parcheggio con 7.000 posti auto), per 19 milioni visitatori annui. Diciannove milioni: quasi tre volte quelli del Colosseo, per un’area pari a sei volte lo Stadio Olimpico. Si tratta di un bacino di utenza enorme, che genera un flusso economico elevato: un campione estremamente variegato per età, provenienza, interessi, che è stato studiato – nel lontano 2012 – in tutte le sue sfaccettature, e la cui analisi di certo avrebbe giovato all’ideazione delle modalità di fruizione dello spazio espositivo. Il semplice fattore numerico comporta una riflessione circa la percentuale di investimento economico nell’operazione, completamente a carico della società gestore del centro commerciale: è vero che non tutti i 19 milioni di visitatori effettuano acquisti – come nel mio caso – ma il volume induce a pensare che nello spazio espositivo si sarebbe potuto investire maggiormente, magari nell’acquisto di dispositivi tecnologici più avanzati di un semplice proiettore, sia per intercettare un pubblico fortemente orientato allo svago e costituito da famiglie (pag. 14 dell’Allegato 1. Il polo commerciale “Porta di Roma” dello studio del 2012), sia per illustrare con più efficacia un territorio estremamente denso di storia e possibili filoni narrativi. Il video in sala – come quello di Repubblica precedentemente postato – riporta la dicitura “Lavori in corso”, in che direzione non è specificato: la speranza è che venga implementata la fruizione tecnologica – plastici in stampa 3D con sensori, realtà aumentata, dispositivi immersivi – data l’esiguità dello spazio espositivo.

Spazio: questo è un altro tasto dolente. In un’area fondamentalmente priva di attrattori culturali e con una forte vocazione residenziale – al contrario di quanto originariamente previsto dal progetto riguardante questo settore urbano – Porta di Roma si è affermato come punto di incontro: ben il 60% dei visitatori (pag. 12) frequenta abitualmente la struttura, tendenza che, fotografata nel 2012, si è rinsaldata negli anni, secondo uno schema comune a tutti i centri commerciali. Si tratta di un pubblico composto per lo più da visitatori provenienti entro un raggio di 10-15 km che trova nel centro un elemento di aggregazione, per sua stessa natura, però sprovvisto di un qualunque elemento identitario: non a caso nel comunicato ufficiale si fa esplicito accenno alla volontà di creare un luogo di aggregazione culturale. Lo spazio destinato a tale operazione sembra davvero irrisorio, soprattutto se rapportato a due elementi: 1. l’estensione del centro commerciale stesso; 2. quanto il centro commerciale è andato a coprire.

1. Abbiamo visto come dei 150.000 metri quadri (4 stadi Olimpici), alla povera Fidenae siano stati destinati gli spazi vicini ai servizi: riesce difficile immaginarlo un luogo di aggregazione, al di là dell’inevitabile coda per fruire della toilette – con la confusione conseguente. Magari un’altra collocazione, direttamente in comunicazione con l’esterno – il perché lo dirò tra poco – con sedute, spazi per laboratori e/o attività didattiche, o qualche altro elemento che induca il visitatore a fermarsi, anziché passeggiare guardando distrattamente, sarebbe stato più funzionale rispetto all’obiettivo dichiarato. Un accesso diretto verso l’esterno avrebbe un duplice vantaggio: a. favorire la creazione di percorsi verso punti di interesse che pure ci sono nei dintorni; b. porsi idealmente come fulcro di una narrazione storica e identitaria del territorio.

2. Infatti il territorio in cui Porta di Roma si inserisce (e che in gran parte ricopre) offre una serie di elementi e spunti di notevole interesse che potrebbero essere narrati nell’antiquarium, e che a questo potrebbero essere collegati con percorsi di scoperta e visita – magari anche tramite app. Sempre nel comunicato ufficiale, si legge: Le evidenze rinvenute coprono un arco cronologico che va dall’età del Bronzo – III millennio a.C. –  fino alla tarda antichità e attestano una continua e diffusa occupazione dell’area: sono stati individuati dieci edifici a uso abitativo e/o produttivo, quindici assi viari, trentacinque nuclei sepolcrali, dieci edifici funerari, quindici cisterne, un acquedotto con pozzi d’ispezione, un’area sacra e opere agricole che ci permettono di ricostruire le tecniche di coltivazioni, piantumazione e drenaggio in uso nell’antichità. Di questa incredibile stratificazione si accenna appena (“Lavori in corso” vorrà dire che stanno provvedendo?) e certamente un video e una carta IGM non bastano per raccontarla: vi andrebbero affiancati interventi tecnologici relativamente a basso costo – un plastico in stampa 3D per dare un’idea dell’articolazione del territorio; un visore immersivo per navigare tra i diversi punti di interesse o per navigare in contesti ricostruttivi tridimensionali; un’app in realtà aumentata per vedere quanto ora è stato riseppellito. Aumenterebbe da un lato l’appeal dell’antiquarium – di cui beneficerebbe il centro commerciale in termini offerta, come vedremo nella parte finale – e dall’altro le possibilità di creare azioni di innesco, magari coinvolgendo le scuole e gli studenti, che qui troverebbero un valido strumento di formazione da utilizzare per il percorso scolastico o come confronto per genere nuove idee.

Scriveva nel 2013 Manlio Lilli: Non lontano da qui c’era Fidenae, una delle città arcaiche di maggior peso nella poleografia laziale. […] Strade basolate, glareatae e tagliate nel banco naturale, tombe di ogni tipo e cronologia, villae sono saltate fuori quasi ovunque. […] Proprio davanti all’ingresso del Centro Commerciale, sul lato opposto di via Alberto Lionello […] alcuni anni fa è stato individuato un lungo tratto di strada tagliata nel banco. Le pareti della via, incassata, alte fino a 18 metri. La via perfettamente conservata, con le canalette per il deflusso delle acque, ai due lati. Scavata, documentata e ricoperta. Come è accaduto ad altri tratti della stessa via, scoperti in precedenza, già sigillati dalle fondazioni in cemento armato di alcune nuove costruzioni. Ma il meglio si trova a non molta distanza da qui, lungo via Carmelo Bene […] Una parte di quel parco delle Sabine pubblicizzato dagli ideatori di tutto questo. Peccato che proprio sotto il prato verde, i gelsi e gli oleandri siano stati riseppelliti due tratti di tracciati viari e due aree di necropoli. Quella più antica, di VIII-IX secolo a. C., con tombe a camera, scavate nel banco lungo il declivio sul quale si affacciano i palazzi non lontani da via Musumeci. Tombe dalle quali provengono corredi unici nel loro genere. Molto più estesa arealmente l’altra necropoli, quella di età repubblicana e soprattutto imperiale. Sepolture alla cappuccina, in anfora, a cassa. Edifici in opera reticolata, altri in opera laterizia. Recinti funerari. Anche qui, tutto documentato. Con relazioni, disegni e fotografie […] Si è deciso di ricoprire tutto. Senza neppure un pannello che ricordasse le indagini, che descrivesse le scoperte. A dire il vero non tutto è stato ricoperto. Fra via Bragaglia e via Ferruccio Amendola, all’interno di un recinto inaccessibile sul quale affaccia un nuovo condominio, ci sono pochi resti di un sepolcro laterizio. Sporge dalle erbacce e dalle cartacce accumulate. Nessuna indicazione su cosa sia, su come sia possibile visitarlo.

Perché un’azienda – come quella che gestisce Porta di Roma – debba investire in cultura, è ben spiegato qui: conviene sempre più, nell’ottica di trattenere, anzi, intrattenere il più possibile il visitatore, come nel caso del centro commerciale polacco Manufaktura, che conta ben tre musei al suo interno, nell’ottica di fidelizzare la clientela e offrire un panorama il più possibile variegato, puntando sulla cultura come valore aggiunto (sulla scia della responsabilità sociale), sebbene non primario. Tanto da portare alla definizione di un nuovo genere di musei, i mall museums. Fidenae può quindi costituire da volano per un’area estesa, vittima di un’espansione in cui l’elemento archeologico non è stato considerato – un optional, come lo definisce Lilli nel suo articolo – al contrario (per limitarmi alla sola considerazione di tracciati viari) di quanto avvenuto per l’IKEA ad Anagnina o per il McDonald di Marino (1, 2, 3). Un’area che oggi vede 19 milioni di persone calcare ignare il suolo, e che può avere un’occasione straordinaria per raccontarsi e per coagulare intorno alla sua storia un’umanità di passaggio che attende di diventare comunità, in un rapporto win-win tra privato e territorio.

Per approfondire:

Cultura e centri commerciali

Fidene